Legittimazione attiva e passiva nel procedimento per la repressione della condotta antisindacale. Evoluzioni interpretative e nuovi orizzonti applicativi.

Abstract

L’elaborato ripercorre cinquant’anni di giurisprudenza e dottrina sull’art. 28 dello Statuto dei lavoratori ed analizza in chiave sistematica i requisiti della legittimazione attiva e passiva nel procedimento di repressione della condotta antisindacale. Il primo capitolo è dedicato all’evoluzione interpretativa del requisito della “nazionalità”, che è proprio delle associazioni sindacali i cui organismi locali sono legittimati a proporre ricorso; l’adeguamento di tale criterio selettivo è avvenuto ad opera della giurisprudenza che ne ha segnato punti di svolta e ne ha dettato gli indici formali e sostanziali sintomatici. Un focus speciale riguarda l’accostamento tra il criterio di rappresentatività dell’art. 28 St. lav. e quello dell’art. 19 St. lav., dei quali si considerano punti di contatto e differenze, evidenziando come il primo sia diventato paradossalmente più ristretto, rispetto al secondo, alla luce della sentenza costituzionale n. 231/2013. Il secondo capitolo affronta la questione dell’individuazione degli “organismi locali”, i titolari esclusivi ad instaurare il ricorso, ricercando quale effettivamente sia il livello sindacale richiesto a fronte del silenzio del legislatore: si rilevano le complicazioni che derivano dall’affidare la loro identificazione al sindacato stesso tramite lo statuto interno e le tensioni che possono sorgere tra gli organismi provinciali e quelli intermedi e/o superiori dell’associazione sindacale. Infine, il terzo capitolo si concentra sul legittimato passivo, valorizzando una lettura sostanziale della nozione di “datore di lavoro” e valutando possibili ampliamenti del perimetro soggettivo , nonché tenendo conto della necessità di andare oltre la subordinazione, dinanzi al fiorire di nuove forme di lavoro in cui è forte la necessità di tutela sindacale.

The work retraces fifty years of jurisprudence and doctrine on Article 28 of the Workers’ Statute and systematically analyses the requirements of active and passive legitimation in the procedure to repress anti-union conduct. The first chapter is devoted to the interpretative evolution of the requirement of “nationality”, which is peculiar to trade union associations whose local bodies are legitimised to bring an action; the adaptation of this selective criterion has been carried out by case law, which has marked turning points and dictated the formal and substantive symptomatic indexes. A special focus concerns the comparison between the criterion of representativeness of Article 28 of the Workers’ Statute and that of Article 19 of the Workers’ Statute, whose points of contact and differences are considered, highlighting how the former has paradoxically become narrower, compared to the latter, in the light of Constitutional Judgment No. 231/2013. The second chapter deals with the issue of identifying the “local bodies”, the exclusive holders of the right to institute the action, researching what actually is the required union level in the face of the silence of the legislature: the complications arising from entrusting their identification to the union itself through the internal statute and the tensions that may arise between the provincial bodies and the intermediate and/or superior bodies of the trade union association are noted. Finally, the third chapter focuses on the passive legitimacy, emphasising a substantive reading of the notion of “employer” and evaluating possible extensions of the subjective perimeter, as well as taking into account the need to go beyond subordination, in the face of the flourishing of new forms of work in which the need for trade union protection is strong.