Into: tra Digital Humanities e giornalismo immersivo

Abstract

Questo lavoro di ricerca si propone di indagare il concetto di immersività, in un presente segnato dalla diffusa presenza di dispositivi quali la realtà virtuale e quella aumentata. È fondamentale oggi essere dotati di una solida conoscenza dell'informatica e delle sue applicazioni nell'ambito delle Scienze Umanistiche, con metodologie tipiche delle hard sciences che vengono quindi utilizzate in nuovi ambiti. Le Digital Humanities, portatrici di interessanti contronarrazioni e nuove visioni del mondo, non vanno però acriticamente divinizzate, evitando pericolose teologie, ma con la consapevolezza che quella in corso è una biunivoca rivoluzione, figlia di una lunga genesi, in cui le macchine vanno attentamente attenzionate dagli esseri umani. Quale realtà dunque? VR e AR rendono sempre più forte e amletica questa domanda, con il loro sbarco nel mondo del cinema, dei videogiochi, della storia dell'arte, della storia, della museologia, andando oltre le tante (spesso distopiche) di profezie sul loro impiego che per tutto il Novecento sono state formulate. Il vero fattore innovativo di questa tesi è però sicuramente quanto emerge nel terzo capitolo, in cui, dopo una breve introduzione sulla storia dell'informazione, si parla di giornalismo immersivo, con Nonny de la Pena e i suoi lavori che hanno aperto una nuova strada. Documentari che si avvalgono delle nuove tecnologie, e che a 360 gradi offrono una possibilità di immergersi nella notizia mai sperimentata prima, con una diversità anche nella percezione della disabilità. Quale parte del discorso è quindi più adatta di una preposizione per riassumere questo viaggio? Ecco spiegato l'uso di Into, con l'inglese lingua ineludibile per comprendere questi fenomeni di portata globale, e con un ricco apparato di note decisivo per comprendere al meglio ogni dettaglio di un lavoro non sicuramente comune ma che fa luce su un futuro che è già presente e che introduce e spera di appassionare su temi che non si possono ignorare.

This research work wants to investigate the concept of immersion, in a present where there is a widespread presence of tools like VR and AR. Nowadays it’s essential to have a solid knowledge about IT’s world and about its applications in the context of Humanities, with typical methodologies used in hard sciences that are translated in new fields. Digital Humanities have led interesting counter-narratives and new worldviews, but they couldn’t be dogmatically deified, to avoid dangerous theologies: it’s necessary an awareness that we are experiencing a one-to-one revolution, offspring of a long genesis, in which machines have to be controlled, in a very carefully way, by human beings. So, what do we mean with the word reality? VR and AR make this question stronger and more hamletic, with their landing in several disciplines like history, art history, museology, film studies and gaming, going beyond numerous prophecies about their use, often dystopian, that have been formulated during the twentieth century. The real innovative factor about this thesis is surely what arises in the third chapter, where, after a short introduction about information’s history, it’s introduced the topic of immersive journalism, with Nonny de la Pena and her works which have opened a new path. Documentaries that employ new 360 degree technologies, so they offer a chance to dive into a news in a way that you have never experienced before, with a diversity also in the perception of disability. So, which part of the speech is more suitable than a preposition, to resume this journey? This is the reason for the choice of Into, because English is the inescapable language to understand these global phenomena. A rich array of notes is the key to understand every detail of this work, surely uncommon about the topics covered (with passion), but able to shine a light on a future which is already present, a future that every person couldn’t ignore.