Manifesto per una nuova architettura (non) originale

Abstract

Il manifesto propone una radicale presa di posizione contro l’architettura contemporanea, percepita come organismo ormai privo di vita, svuotato dalla retorica del mercato, dall’estetica e dall’autorialità. L’architettura viene qui descritta come un cadavere esibito: celebrato nelle fiere, postato, premiato, ma completamente scollegato da qualsiasi tensione reale, critica o trasformativa. In risposta a questa condizione di stasi, il manifesto non propone soluzioni o strategie operative, ma un atto di sabotaggio simbolico e culturale: invoca proprio la decomposizione come gesto per una possibile rinascita. Articolato in quattro sezioni, il manifesto propone un ribaltamento dei codici disciplinari. In “Architettura come dissenso”, si rifiuta l’idea della costruzione come atto positivo: ogni linea tracciata diventa un colpo inferto al sistema, ogni gesto progettuale un atto critico. “L’elogio dell’in-costruzione”, invece, rivendica l’incompiuto, l’inutile e il fallimento come scelte consapevoli, in grado di aprire spazi inattesi di immaginazione e dissenso. Con “Contro il mito dell’originale”, si demolisce poi l’ossessione per l’autorialità e l’inedito, proponendo la copia, la citazione e l’anonimato come strumenti di liberazione creativa. Infine, in “Il segno nero”, l’architettura diventa concetto, ferita, crepa: non è rappresentazione bensì smascheramento. Un segno che non costruisce, ma distrugge, non promette, ma rivela. Il manifesto non propone soluzioni né strategie operative, ma sua è una critica poetica e politica che rifiuta la realizzazione materiale in favore dell’idea come forma di resistenza. Un gesto forse inutile, ma profondamente necessario. Perché solo nella negazione assoluta può riemergere una possibilità autentica per l’architettura a venire.

The manifesto takes a radical stance against contemporary architecture, perceived as a lifeless organism, emptied by market rhetoric, aesthetics, and authorship. Architecture is portrayed here as a displayed corpse: celebrated at fairs, posted online, awarded yet completely disconnected from any real, critical, or transformative tension. In response to this state of stasis, the manifesto does not offer solutions or operational strategies, but rather a symbolic and cultural act of sabotage: it calls for decomposition itself as a gesture toward possible rebirth. Structured in four sections, the manifesto proposes an overturning of disciplinary codes. In “Architecture as Dissent,” the idea of construction as a positive act is rejected: every line drawn becomes a blow against the system, every design gesture a critical act. “In Praise of Un-building” claims the unfinished, the useless, and failure as conscious choices capable of opening unexpected spaces for imagination and dissent. With “Against the Myth of the Original,” it demolishes the obsession with authorship and novelty, proposing copying, citation, and anonymity as tools of creative liberation. In the end, in “The Black Mark,” architecture becomes concept, wound, crack: not representation, but unmasking. A mark that does not build, but destroys; does not promise, but reveals. The manifesto offers no solutions or operational strategies, but rather presents a poetic and political critique that rejects material realization in favor of the idea as a form of resistance. A gesture perhaps useless, but profoundly necessary. Because only in absolute negation can an authentic possibility for future architecture to re-emerge.