Castello di Salabue nel Monferrato. Giardino, parco, bosco, dal décore restaurativo di Accornero alla valorizzazione attuale
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Author
Balcan, Vanessa Alexandra
Supervisor
Giusti, Maria AdrianaAssistant supervisor
Ferrari, MarcoDate
2019-07Data available
2019-08-06Abstract
Affrontando il progetto di restauro per la realtà di Salabue, ci si è dovuti confrontare con i notevoli limiti posti innanzi dall’ingente lacuna di fonti storiche e l’inconsultabilità dell’archivio privato.
L’impossibilità del fondamentale approfondimento sulle vicende ed evoluzione del sistema giardino-parco-bosco, ha necessariamente determinato l’avvio di un percorso di conoscenza alternativo, che ovviasse ad un forte criticità, trasformata nell’organo propulsore per l’interpretazione del tema.
Sulla scia dei pochi punti fermi a disposizione, mediante la ricerca bibliografica si sono approfondite le figure dei proprietari, committenti e artisti di comprovata connessione al sito, comprendendone il retaggio culturale, gli ideali artistici, sociali e politici. Allo stesso modo si è rivolta l’attenzione all’esterno, verso le architetture affini i cui autori coinvolti potessero essere associati al castello di Salabue.
Sebbene la fase conoscitiva sia spesso basata su congetture il percorso di studi a permesso di sviscerare la cultura e teoria del giardino dell’Ottocento e Novecento assicurando padronanza e consapevolezza storica-culturale a sostegno delle proposte.
A tale presupposto non può che conseguire un cauto intervento di conservazione, calibrato sulla realtà e rispondente alle emergenze e alle criticità impellenti legate al sistema, nonché misurato sulla valorizzazione delle potenzialità riconosciute del sito.
Numerosi rilievi e sopralluoghi, in più, sono stati utili nel cogliere in profondità il genius loci dando origine ad un intervento propositivo, frutto “del locus” stesso.
La morfologia e la composizione dei tre ambiti, a tre quote diverse e singolarmente iscritti l’uno nell’altro, hanno spontaneamente condotto a una lettura critica attraverso le tre categorie estetiche di Rosario Assunto, a loro intrinseche. Affondando inoltre le intuizioni progettuali in riferimenti culturali coevi è stato possibile interpretarli dando valore alla loro riconosciuta essenza e vocazione.
La chiave interpretativa è dunque sostenuta da tre autorevoli progettisti attraverso le cui idee si dà voce allo stato di fatto, conservandolo quanto possibile e valorizzandolo.
Il giardino formale è l’emblema del grazioso, natura dominata a stretto contatto con l’uomo e la sua architettura, rivisitato nella prima metà del Novecento e conforme ai rinnovati canoni del formalismo allora in voga, ripresi da Vittorio Accornero, qui inedito progettista di giardini. Prendendo ispirazione dalla sua attività artistica (disegni originali e progettazione di foulard) si porta a compimento la conservazione degli elementi vegetali e minerali non trascurando la valorizzazione delle peculiarità che li contraddistinguono.
Nel viale la necessità di un intervento immediato e improrogabile si conclude per una complessiva sostituzione degli individui ai quali subentra una specie differente, Tilia cordata, selezionata con attenzione alle sue esigenze, necessità di bassa manutenzione e compatibilità storica con il sito di introduzione. Il parco di matrice paesaggistica annesso, ricco di diverse prospettive verso il paesaggio esterno e verso l’interno, è arricchito da aiuole un tempo adoperate alla collezione di erbacee a fioritura scalare e periodicamente aperto al pubblico, motivo di orgoglio da parte dei proprietari. Il collezionismo che lo caratterizza viene reinterpretato su modello di Gertrude Jekyll avvalendosi della creazione di mixed borders arbustivi ed erbacei coadiuvati nella composizione dalla teoria del colore di Johannes Itten, adeguando le specie consigliate all’orizzonte vegetazionale e pedoclimatico monferrino. Con l’esito finale si fa fronte alle emergenze impellenti, conservando la valenza architettonica e si avvalora la categoria assuntiana del pittoresco con la composizione di numerosi “paesaggi” da scoprire nella suggestiva passeggiata.
L’area del bosco, riconoscendo nel suo degrado conseguito dalla discontinua gestione un valore di potenzialità connesso alla sua valenza ecologica, viene affrontata, nei limiti della sicurezza dei fruitori e di una gestione selvicolturale, nell’ottica della conservazione dello stato di fatto, arricchito da un’interpretazione secondo la teoria del “wild garden” di William Robinson. Se ne valorizza così la “spontaneità” lasciando che la progettazione sia frutto del processo di naturalizzazione del sistema, senza ridurne l’essenza del bosco ma aggiungendo un elemento di qualità estetica e sorpresa in linea con i dettami del sublime intrinseci alla “selva oscura” in cui la natura è protagonista, l’uomo spettatore smarrito. Punto finale del cammino sono le radure, anticamente destinate a vigneto, che riportano alla luce e alla vista del confortevole paesaggio antropizzato dominato dal Sacromonte di Crea e, alle spalle, dal castello di Salabue stesso.
In generale, con l’approccio seguito, ci si prepone la salvaguardia del sistema e la trasmissione ai posteri di una situazione conservata, altrimenti destinata a soccombere.
Si desidera sottolineare ulteriormente il carattere “aperto” del progetto di restauro, specialmente quando predisposto per un sistema vivente ed effimero quale il giardino, dominato dall’evoluzione del clima, dalle patologie e problematiche interconnesse. Decisioni prudenti e ponderate dunque, all’insegna del minimo intervento e aperte a integrazioni, ancor più data la momentanea inaccessibilità dell’archivio Davico di Quittengo, al fine di condurre interventi sotto l’egida della conservazione, fortemente ancorati alle riflessioni del dibattito fiorentino e alle indicazioni, seppur criticamente attualizzate e contestualizzate, delle conseguenti Carte del restauro dei giardini storici.
Type
ThesisCollections
- Paesaggio [495]