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dc.contributor.authorGasperini, Michele
dc.contributor.authorBracchi, Edoardo
dc.date.accessioned2021-08-17T10:36:30Z
dc.date.available2021-08-17T10:36:30Z
dc.date.issued2020-12
dc.identifier.urihttps://unire.unige.it/handle/123456789/3753
dc.description.abstractNella storia dell’arte, il riconoscimento della costante iconografica di un determinato soggetto se non sempre è bastata a rendere conto della complessità del fatto artistico, tuttavia è servita a produrre l’effetto di avvicinare il pubblico all’opera, laddove, pur non intaccando il mandato dottrinale (quello che spesso viene definito “il messaggio dell’opera”), ha concesso all’osservatore la possibilità di estrarre dall’opera ed elaborare parti autonome di un discorso. In altre parole, l’iconografia avvicina il pubblico all’opera fornendo chiavi di riconoscimento e, contemporaneamente, offrendo elementi utilizzabili anche in contesti diversi da quello strettamente artistico. Caso emblematico è, tra le iconografie del San Gerolamo, quella che lo rappresenta come erudito seduto nel suo studio intento a scrivere o leggere, circondato dagli oggetti del sapere. Si tratta di una elaborazione tardo-medioevale di modelli della ricca tradizione di immagini dipinte nei manoscritti da copisti che in esse rappresentavano il proprio mondo circostante, fatto di ambienti occupati da arredi, spesso complessi, a volte ingegnosamente meccanici, che costituivano la loro sede quotidiana di lavoro. Figure maschili, ma non infrequentemente anche femminili, contenute in ambientazioni lignee che sono vere forme di un sotto-sistema architettonico, con caratteristiche di autonomia e di centralità derivate dalla tradizione. L’architettura inclusa, fatta di materiali delicati, deperibili, a volte preziosi estende al domestico e al quotidiano il significato dei modelli classici. Il naos, la parte più interna del tempio, dove trovava posto la statua del dio, costituisce un sistema formale definito secondo una modalità che si estende, nell’architettura bizantina, alle parti della chiesa destinate alla celebrazione liturgica, il tabernacolo, il presbiterio, il pulpito. Si forma, tramite la pittura, una scena fissa nella quale immaginare il quotidiano, fatto di elementi personali, minimi, attraverso i quali si generi l’atmosfera di una intimità operosa. Naturalmente, in questo ruolo di progettisti della dimensione percettiva dell’architettura i pittori non sono affatto soli: accanto a loro figurano i committenti, il pubblico, i critici e, naturalmente, gli architetti. Questi soggetti contribuiscono, in misura e in modi diversi, a produrre ciò che possiamo definite il ricordo collettivo dell’architettura. Se ciò che noi chiamiamo ricordo si pone alla base del progetto, ne è materiale da costruzione, nondimeno è frutto di una volontà, di un lavoro capace di renderlo artefatto mnemonico. Si tratta un lavoro di ri-costruzione che si pone, adattandosi, alla base di quell’opera di costruzione, particolare e collettiva, che vuole essere l’architettura. L’uso del ricordo può significare un azzardo, un atto di coraggio, il tentativo di riscatto dal sospetto che il progetto viva esclusivamente sulle spalle della realtà. È in questa chiave che gli strumenti espressivi del progetto possono tornare ad esserne strumenti di lettura. L’iconografia del santo, quindi, così come viene messa a punto nel XV secolo contiene la descrizione di un codice abbastanza preciso, dove Girolamo è circondato da una struttura lignea che è, insieme, ambiente domestico, macchina funzionale e spazio simbolico. Nelle epoche, il lavoro di riscrittura dello studiolo porta con sé l’irrinunciabilità della tentazione ecfrastica, in omaggio alla quale il disegno, alla fine, rivaleggia con il soggetto, in un sovraccarico di trasmissione che non ha nessuna speranza di essere, né di apparire, neutrale. Inoltre, la messa a punto dell’iconografia del santo Girolamo traduce la rappresentazione storica dello studiolo dell’amanuense auto-raffigurato nelle miniature dei libri, verso la celebrazione dello studioso in senso più ampio, che da lì ambisce a farsi ritrarre in quella scena che, ormai, ha assunto valore assoluto. Dovendo ricostruire, definendolo, il soggetto-studiolo, emergono il ruolo e le possibilità di altre rappresentazioni, poichè nella vicenda di razionalizzazione degli strumenti operativi della rappresentazione e dei tentativi di inquadrarli in un ambito teorico più ampio, quale è quello del mestiere di architetto, giocano un ruolo distinto, ma non per questo poco importante, le rappresentazioni delle architetture costruite. Così, lo studiolo rappreso in un tipo dove l’esperienza culturale (la mutevole sequenza di ipotesi sul soggetto del quadro) si sforza di aprire una strada tra le informazioni offerte dalla vista, e lo fa con strumenti misti, a loro volta a tendenza artistica, come la modellazione ceramica. Il procedimento sarà dunque osservare non tanto un processo stilistico, quanto rivelare e interpretare i meccanismi di funzionamento di un’idea.it_IT
dc.language.isoitit_IT
dc.titleFortezza della Solitudineit_IT
dc.typeThesisit_IT
unire.supervisorScelsi, Valter
dc.publisher.nameUniversità degli Studi di Genova


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