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dc.contributor.authorBruzzone, Martina
dc.contributor.authorMirenzio, Antonino
dc.date.accessioned2020-09-01T07:01:59Z
dc.date.available2020-09-01T07:01:59Z
dc.date.issued2020-07
dc.identifier.urihttps://unire.unige.it/handle/123456789/3165
dc.description.abstractCasa è quella dell’abitare sentimentale, la casa dei genitori, il luogo che costruiamo in trasferta per gli studi o per lavoro, il rifugio per eccellenza, quello spazio che rappresenta la sicurezza, il riparo ancestrale in cui all’inizio dell’evoluzione umana i nostri antenati si rifugiavano dalle bestie feroci e noi, nel 2020, il secolo in cui dovevamo essere circondati da macchine volanti ci siamo protetti dal Coronavirus. L’idea “tradizionale” della casa non ha avuto molto successo negli ultimi decenni: il verbo transitare ha prevalso sullo stare e con questo tutte le certezze consolidate che la casa portava con sé e di sé hanno iniziato a vacillare dal momento in cui la mobilità ha preso il sopravvento, dove il declino dell’importanza della localizzazione si fa sempre più evidente e lo sviluppo di una globalizzazione (economica, strategica, sociale, etc.) si appresta a destabilizzare la normalità architettonica, ovvero la sua unità di stare insieme, riportando ad un movimento storico inverso rispetto a quello accaduto durante la civilizzazione dell’uomo: viene meno ogni tipo di radicamento stabile e duraturo. Lo spazio privato si è trasformato: più la domesticità viene meno, più paradossalmente è viva. La condivisione, la promiscuità hanno innestato sempre più l’annullamento dei confini della casa accentuando il concetto di comunità liquida in continuo movimento. Il Coronavirus ha riportato al centro di molte riflessioni il tema dell’abitare e con esso quello della casa, matrice primitiva dell’abito, la quale per certi aspetti si è ripresa quello che negli ultimi anni la tecnologia, l’evoluzione sociale, la transitorietà della vita frenetica, le aveva tolto. Con la Pandemia, la soglia di casa si è spostata al centro: potevamo essere ovunque senza muovere un passo dalla nostra scrivania o tavolo di lavoro. Il senso di comunità lo abbiamo ritrovato attraverso finestre, balconi, terrazze, i quali sono diventati le scene fisse del nostro sguardo sul mondo esterno: tali elementi possono diventare il luogo di partenza per nuovi orizzonti progettuali. La casa si è propinata verso l’esterno e il pubblico si è fatto spazio all’interno della nostra domesticità. Di conseguenza, nel passaggio dall’interno all’esterno o dalla dimensione privata a quella pubblica, intercorre uno spazio ed un tempo di mediazione: l’involucro delle nostre case diventa un elemento di opportunità, una scena teatrale in movimento continuo, il luogo dove l’edificio si sveste in base esigenze di chi lo abita trasformando gli abitanti in attori di scene temporanee. Il progetto della Tesi di Laurea nasce dalla concezione di voler riportare al centro di studio la questione dell’abitare e della sua radice primordiale: la casa. In un quartiere come quello di Sampierdarena, dove i problemi sociali ed economici si riversano all’interno di elementi già esistenti e poco adatti alle esigenze di una società multietnica, dove lo sviluppo della vicina Genova ha trasformato questo luogo in uno di transito, dove porto, autostrade e ferrovie hanno preso spazio senza lasciare nulla in cambio, ripensare ad un nuovo modello abitativo e collettivo di riattivazione del quartiere e di possibile punto di partenza per la rigenerazione di elementi esistenti, i quali nonostante non ricadano all’interno di una categoria di valore, sono in grado di generare spazi utili ed efficaci per migliorare la vita quotidiana delle persone. Il progetto si sviluppa all’interno dell’area delle Ex Officine Elettriche Genovesi, di fronte al Centro Commerciale Fiumara, racchiusa tra la Via Antonio Pacinotti, Via Stefano Dondero e Via Arturo Salucci. Il progetto si compone di tre edifici, due già esistenti sui quali sono state apportate delle modifiche e uno completamente ex novo: una casa studenti, un complesso residenziale flessibile e un mercato; da quest’ultimo, attraverso un analisi delle piante esistenti, è stato estrapolato un modulo di dimensioni 5,02 x 5,02 metri e riportato su tutti e tre gli immobili definendosi così la matrice originaria dell’intero progetto. I tre fabbricati sono racchiusi, ad aprirsi, da un “muro” a cielo aperto costituito dal solo mantenimento del prospetto che si affaccia su Via Stefano Dondero, tenuto in piedi da una struttura in carpenteria metallica modulata dalla distanza dei pilastri mantenuti dell’edificio esistente, genera oltre che un fronte ed un collegamento con l’infrastruttura ferroviaria, un luogo di transito sociale che si sviluppa su due livelli fatto di passerelle e scalinate. L’edificio adibito a mercato diventa un punto nodale, un elemento che funge da cerniera per due tessuti urbani differenti, uno più denso e corposo, l’altro più dispersivo di impianto prettamente industriale ed un punto polare importante per un quartiere i cui centri di ritrovo si esauriscono di notte in spazi adibiti al gioco d’azzardo. Delle stesse dimensioni del mercato viene costruito totalmente ex novo un complesso residenziale flessibile, caratterizzato da alloggi a doppia altezze, ampi spazi interni e costituito da una doppia pelle che muta in base alle esigenze di chi la abita, diventando così un oggetto in movimento. Tale elemento rispecchia l’andamento della società odierna: estesa alla comunità in continuo movimento. Infine la casa studenti è il frutto di operazioni di addizione, sottrazione e aggiunte lungo il fabbricato che si estende su Via Antonio Pacinotti: esso diventa un sistema poroso, che si propina verso l’esterno attraverso terrazzamenti e contemporaneamente si rende pubblico ed utile al quartiere.it_IT
dc.language.isoitit_IT
dc.titlePatrimonio di confine. Costruire, abitare, sopravvivere. Residenze d'inesto a Sampierdarenait_IT
dc.typeThesisit_IT
unire.supervisorAndriani, Carmela
unire.assistantSupervisorMandraccio, Luigi
dc.publisher.nameUniversità degli Studi di Genova


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