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dc.contributor.authorMancin, Eleonora
dc.date.accessioned2020-07-29T15:23:39Z
dc.date.available2020-07-29T15:23:39Z
dc.date.issued2020-03
dc.identifier.urihttps://unire.unige.it/handle/123456789/2934
dc.description.abstractDi fronte allo spettacolo del degrado paesaggistico e degli ambienti malsani, di fronte all’offesa alla dignità umana che esso comporta, crollano le distinzioni terminologiche tra “paesaggio” e “ambiente”, vacilla l’idea stessa di un paesaggio extraurbano come estetizzato locus amoenus che serva a coltivare meccanismi di fuga e di evasione dalla città. Questo dipende dal fatto che l’espansione urbana si fa più pronunciata in corrispondenza delle sue aree di frangia, dove il confine tra rurale e antropico perde consistenza, per via di un tessuto infrastrutturizzato, frammentato, discontinuo, di bassa qualità. Una profonda analogia sembrerebbe mettere in relazione le avanguardie dell’inizio del secolo con lo scenario metropolitano nelle quali esse affondano le loro radici: l’ansia del nuovo trova un perfetto riscontro con il frenetico mondo della grande città, segnato dall’incessante flusso degli eventi. La struttura vitale della metropoli, con i suoi contatti superficiali, gli incontri casuali e la bellezza sfuggevole di cui parla Baudelaire, esercita sicuramente un’influenza sui procedimenti dell’arte d’avanguardia che cerca di rappresentare il dinamismo e la simultaneità attraverso tecniche quali il collage, il montaggio o la giustapposizione di frammenti. […] Ma lo scintillio della metropoli ha subito con il tempo un perverso cambiamento. I suoi lampi non fanno più meravigliare, anzi impediscono la vista. La realtà metropolitana dell’ultimo terzo del ventesimo secolo mostra ferite più profonde: l’ineffabile forza del gigante sembra minata da una debolezza intrinseca, causata dalle malformazioni e sproporzioni delle sue membra. Sicuramente il fattore decisivo per il crollo dei valori dell’urbanesimo è stata la crisi economica degli anni 70 del Novecento, e con questa lo sfaldamento del capitalismo e della produzione industriale, con conseguente chiusura degli impianti, e la trasformazione del volto delle città e delle periferie urbane. La città muta la sua natura, e con essa le necessità dei residenti, dei commuters, il modo di spostarsi, cambia il settore trainante e con esso si modificano i luoghi e si ridistribuiscono i centri attrattori delle città stesse, ciò che prima era il centro ora si svuota, o viceversa. La tesi qui di seguito proverà a sviluppare una riflessione sui siti industriali abbandonati e su quale potrebbe essere la strategia vincente per il loro recupero, sia quali potrebbero essere i nuovi usi, in che modo adattarli al cambiamento urbano che stiamo vivendo, come trasformarli in risorse e non lasciare che diventino le future rovine su cui si scriverà tra 500 anni. O magari si, sta a noi decidere in che modo. Precisamente, la tesi si articola in due parti articolate in capitoli; la prima, vuole essere una sorta di introduzione generale sui siti industriali dismessi. Nello specifico: il primo capitolo va a riassumere la storia dell’industrializzazione dal punto di vista urbanistico e architettonico; il secondo racconta di come si sia passati dal metodo produttivo fordista a quello attuale anche detto Toyotista; il terzo analizza le tendenze socioeconomiche e come le città hanno reagito dal punto di vista sociologico alla deindustrializzazione e che tipo di risposta hanno saputo dare a questo fenomeno di abbandono diffuso e svalutazione degli ex spazi industriali. Il quarto e il quinto capitolo osservano le tendenze popolari in relazione alla percezione di questi siti, e che tipo di influenza possono avere nella cultura di massa. Il sesto e il settimo capitolo si chiedono che cosa significhi e cosa implichi il recupero di questi non-luoghi, quali sono le criticità intrinseche e le potenzialità latenti determinate dalla loro posizione, dai loro collegamenti infrastrutturali, dal fatto che si tratta di siti già costruiti che non aspettano altro che essere dotati di nuove destinazioni d’uso. Inoltre, un altro punto evidenziato è che per evitare un degrado ambientale e il rischio futuro di inquinamento bisognerebbe costruire o rinnovare utilizzando materiali ad hoc, e utilizzando una gestione consapevole dei rifiuti e dei materiali di scarto o delle sostanze prodotte. La seconda parte invece, comprende un accenno sui metodi e sulle tecnologie di bonifica. In base poi al tipo di stabilimento, al grado di contaminazione si farà una distinzione tra i siti che potrebbero essere destinati all’uso ricreativo, residenziale, di tipo misto o ad un reinserimento di nuove attività produttive; ma soprattutto al fine del reinserimento di habitat e servizi ecosistemici venuti meno con lo sviluppo antropico e urbano. Si avanzerà inoltre, una proposta per la Val Polcevera, nel ponente genovese, riflettendo su quali potrebbero essere i nuovi sviluppi per una valle, e una città in lenta trasformazione, ma che si assurge a modello per tutte le città europee che stanno vivendo il lento processo di spopolamento e deindustrializzazione. L’analisi evidenzia quali sono gli stabilimenti dismessi, il livello di contaminazione, provando a capire in primo luogo quali sono stati i cicli produttivi che hanno ospitato nella loro storia, e come creare un progetto che riesca a collegare le strategie di recupero indicate dagli strumenti urbanistici vigenti e dal piano straordinario prodotto a seguito del crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018. Offrire un quadro organico delle diverse problematiche e degli approcci metodologici e procedurali più rilevanti ai fini del recupero, costituisce dunque l’obiettivo limitato e al tempo stesso ambizioso di questo lavoro. Soprattutto con riferimento alle singole componenti, il percorso proposto richiama un complesso di metodologie applicate ai processi decisionali che si stanno sviluppando e trovando applicazione sia a livello nazionale che in ambito internazionale. È venuta l’ora di sfidare i confini difficili dentro e intorno alla città, ripudiando il pensiero unico di una “modernità” senza immaginazione che si riconosce nelle icone alla moda del grattacielo e della megalopoli. Di vedere nelle città, nei paesaggi, nell’habitat degli umani, nello spazio non una merce passiva da sfruttare ma il vivo scenario di una democrazia futura .it_IT
dc.language.isoitit_IT
dc.titleRUINEWS. Il recupero paesaggistico dei siti industriali dismessi: lo stato dell'arte in Europa e a Genovait_IT
dc.typeThesisit_IT
unire.supervisorMazzino, Francesca
dc.publisher.nameUniversità degli Studi di Genova


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