dc.description.abstract | Fin dal 1300 la città di Genova, adagiata sul mare e nel contempo ai piedi delle alte colline retrostanti, con il suo centro murato appare ai viaggiatori europei come un contesto urbanizzato ben più ampio, esteso per molte miglia e costituito dall'insieme di residenze, ville e borghi tra Voltri e Nervi e lungo le vallate del Polcevera e del Bisagno. Genova è “una città di ville e giardini” disseminati e frantumati nel tessuto dell’odierna città: nel corso di più di quattro secoli, lungo le spiagge, allora incontaminate, di Sampierdarena e Cornigliano, nelle valli del Polcevera e del Bisagno, sulle colline da Albaro a Nervi, sorgono numerose residenze di villeggiatura di proprietà degli aristocratici genovesi. Le ville genovesi, che pure hanno caratteristiche costruttive legate all’epoca in cui sorgono, si differenziano da altri edifici simili in zone geografiche diverse, per una serie di elementi che le rendono singolari. Il periodo storico- architettonico preso in esame nell’elaborato è ricompreso tra il Cinquecento e il Seicento: un arco di tempo in cui il processo tipologico , i modi, le tecniche e i materiali utilizzati nell’architettura delle ville si presentano sufficientemente omogenei.
E’ proprio in questo periodo che le ville suburbane assumono una notevole importanza in quanto forniscono un’immagine pubblica della ricchezza e della potenza delle famiglie che le posseggono, non tanto per la mole degli edifici, spesso di due soli piani, quanto per il fasto degli interni e del disegno architettonico dell’intero sistema: abitazione, portici e fontane come parte di un armonioso giardino geometrico. Il fenomeno procede di pari passo con l’ascesa delle fortune economiche e politiche di un gruppo di famiglie in stretto contatto, per motivi d’affari, con tutte le capitali europee e sensibili alle oscillazioni del gusto e delle mode culturali. Il palazzo di villa, non diversamente da quello di città, rievoca i fasti familiari ed è un simbolo di potere da esibire, non solo agli ospiti di alto rango, ma anche ai concittadini. Per alcuni rappresenta anche un’alternativa agli impegni pubblici, un rifugio in cui coltivare lo spirito, investigando sui misteri della natura.
Accanto all’architettura, il giardino, da quello monumentale di villa a quello modesto degli spazi urbani, contribuisce a definire il modello delle dimore genovesi specie nel periodo di maggior splendore tra il XVI e il XVII secolo: è uno spazio definito “personale e soggettivo”, non solo emblema di decoro, fasto, nobiltà e potere, ma come la dimora di villa, anche sinonimo di comodità, piacere e godimento.
Giardino, architettura, territorio sono, infatti, inscindibilmente legati, in un rapporto di scambio tra spazi interni e paesaggio. Questa gradazione tra città, paesaggio di villa e territorio appare percepibile come una macroscopica replica della raffinata gradazione imposta da committenti e architetti nella struttura di villa e giardino.
Lo studio sul tema dell’architettura di villa del genovesato ha messo in evidenza un fenomeno generalizzato e vasto: quello delle facciate affrescate. Infatti “L’architettura dipinta” è emersa come un carattere dell’architettura di villa che deve essere contestualizzato nel complesso rapporto con l’ambiente circostante: nei giardini vengono creati nuovi spazi e un nuovo stile architettonico-scenografico, più consono agli ozi umanistico-letterari del vivere in villa. L’aspetto architettonico e quello architettonico dipinto si compenetrano e si integrano, pervenendo a risultati complementari inscindibili. Il fenomeno delle facciate dipinte si presenta non chiaramente connesso con il progetto architettonico vero e proprio: nei palazzi di villa le due fasi, di realizzazione dell’edificio e di decorazione pittorica avvengono spesso in tempi diversi, ma non solo, a volte quest’ultima non compare neppure nel progetto iniziale . Il fatto decorativo-espressivo è, infatti, fortemente condizionato dalla personalità del committente, che risulta molto spesso determinante a qualsiasi livello di scelta.
L’espansione della città di. Genova, la nascita di nuovi quartieri e il processo di industrializzazione hanno mutilato e trasformato quei parchi e palazzi, senza, però, cancellarli del tutto. La consultazione delle fonti e delle testimonianze artistiche e letterarie, ci permette di ricostruire lo stile di vita degli antichi proprietari e di recuperare il rapporto tra la città e il suo paesaggio.
La pubblicazione del catalogo delle ville genovesi (E. De Negri, C. Fera, L. Grossi Bianchi, E. Poleggi, Catalogo delle Ville Genovesi, Genova, 1967) ha posto in termini reali la consistenza e le condizioni di un patrimonio monumentale pressoché ignorato: infatti, delle duecentosettantasette ville reperite, pochissime sono state studiate ad eccezione di quelle del secolo XVI che, attribuite a Galeazzo Alessi o a suoi presunti discepoli, hanno indotto gli storici a evidenziarle quasi come uniche architetture degne di interesse. Anche a causa di questo atteggiamento della storiografia genovese imponenti complessi di ville, per non parlare di quelle meno note, sono state dimenticate senza che una voce si levasse a difenderne l’integrità. L’importanza anche numerica dell’architettura di villa e l’insensibilità alle sue dimensioni da parte della storiografia locale inseriscono l’urbanizzazione di villa nell’arco dei problemi aperti riguardanti la città di Genova, cui manca a tutt’oggi una ricerca di unitaria prospettiva sull’origine e la qualificazione della forma urbana.
Percorrere a ritroso la storia di Villa Spinola a Bavari ha significato compiere un viaggio ideale nel corpo di fabbrica attraverso la lettura dei documenti, l’esame delle immagini, la disamina della bibliografia e l’analisi della materia costruita. Lo studio puntuale dell’edificio è stato condotto nel tentativo di percorrere i primi difficili passi entro i confini di una conoscenza e di una pratica del “saper fare” vasta e complessa. Il desiderio è stato quello di svelare le scelte tecniche, le decisioni progettuali e le vicende sociali del tempo, profondamente estranee alla cultura contemporanea e soprattutto culminanti in un periodo di “protagonismo a livello europeo della città di Genova” . I tentativi di riportare alla luce la ricchezza ancora recuperabile propria di episodi frantumati, impoverita, ma non del tutto scomparsa, ha significato voler rivalutare il valore di questo edificio per farlo ancora dialogare sulle scene di vita attuale. La dimora è nata e si è trasformata attraverso modifiche ed adeguamenti che sono stati trasferiti nel tempo come patrimonio di informazioni, messaggi e indicazione. Grazie all’abilità delle maestranze del cantiere antico, alla longevità delle strutture resistenti e in particolare, alle carpenterie di copertura, si è riusciti ad assicurare la continuità dello svolgersi delle funzioni e del permanere degli spazi.
Oggi chi è impegnato professionalmente nel settore del recupero di edifici e nella riqualificazione degli stessi si deve misurare sempre più, non soltanto con le preesistenze storiche, ma anche con l’insieme di trasformazioni talvolta rilevanti che i suddetti edifici hanno subito nel tempo, in particolare quando essi hanno avuto una continuità di fruizione nell’ambito di diverse modalità di utilizzo. Nell’ambito di tale processo di conoscenza si ritiene che lo studio degli aspetti tecnologici e costruttivi e una corretta rappresentazione degli stessi nell’ambito del progetto consentano lo sviluppo di criteri di intervento più rispettosi e attenti al contesto.
Conoscere quindi, in modo serio e approfondito, il costruito su cui si interviene è condizione necessaria, anche se non sufficiente, del progetto sull’esistente. Prima di iniziare a esporre nel dettaglio una proposta di progetto, è doveroso illustrare i punti chiave e gli obiettivi prefissati per la riqualificazione dell’opera:
- Conservazione dell’identità storica dell’edificio;
- Rifunzionalizzazione compatibile;
- Interventi e modifiche del manufatto compatibili con lo stesso;
- Compromesso tra riqualificazione e valorizzazione della preesistenza storica.
Il tutto con l’obiettivo di realizzare una “felice” quanto possibile sintesi tra preesistenza, norma e atto progettuale. | it_IT |