dc.description.abstract | La riproduzione di opere d’arte è un pratica che viene esercitata fin dall’antichità, con tecniche e finalità differenti. Tuttavia, solo dal XX secolo la riproduzione dell’immagine artistica è stata utilizzata per la commercializzazione e lo styling di oggetti del disegno industriale, causando ripercussioni sia nella produzione artistica, sia nei modi in cui l’Arte viene percepita e consumata.
Con lo sviluppo delle potenzialità del sistema industriale e con l’accrescimento della popolazione mondiale si è resa necessaria una sempre maggiore differenziazione della produzione. L’Arte, quindi, storicamente prodotto di consumo di una società d’élite, è entrata in questo sistema come il più efficace mezzo per rappresentare uno status symbol.
Sebbene questa pratica abbia avvicinato un sempre maggiore pubblico al mondo artistico, il suo uso indiscriminato ha causato anche la perdita di ogni ritualità del consumo del pasto culturale.
Inoltre, l’attuale rete dei mezzi di comunicazione, pur permettendo un pronto e rapido immagazzinamento di nozioni, ha implementato questo fenomeno, aumentando il numero di riferimenti al mondo dell’Arte, ma riducendone la consapevolezza.
Questa dinamica è stata analizzata nel volume The History of Art, according to Instagram, nel quale sono state raccolte le testimonianze fotografiche di 1856 utenti del suddetto social network all’interno di 108 musei di tutto il mondo. Tali immagini, suddivise in 28 capitoli corrispondenti ad altrettanti movimenti artistici, palesano un cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’opera d’arte originale. Sebbene il carattere principale risulti essere la necessità degli utenti di comunicare una certa immagine di sé, alcune testimonianze dimostrano anche un consumo più fluido dell’Arte, slegato dai tradizionali canoni di giudizio.
Si notano, infatti, interferenze tra diversi settori artistici, dimostrando l’evoluzione del museo da luogo di esposizione dell’Arte, a sede di attività legate all’Arte.
Tuttavia, questa analisi ha anche evidenziato come gli enti museali, in linea con l’atteggiamento degli utenti, abbiano assunto un ruolo social sempre maggiore, alimentando, di conseguenza, la diversa percezione dell’Arte. Ad esempio, la Neue Galerie di New York, così come il San Francisco MoMa, mettono a disposizione gadget ed accessori al fine di permettere ai visitatori di scattarsi foto di fronte a riproduzioni di opere note.
Non solo, anche il ruolo commerciale degli enti museali è diventato sempre più rilevante, rendendoli i più grandi rivenditori e produttori di oggetti riportanti immagini artistiche. Le ragioni di ciò si possono riportare sia a ragioni economiche, alimentate dalla necessità umana di raggiungere un certo status symbol, sia al sempre più diffuso culto delle esperienze passate. Il passato, infatti, possiede una straordinaria risonanza suggestiva sotto il profilo emozionale: gli è propria una specie di armonia, un’aura particolare, che viene resa tangibile grazie al souvenir.
Su queste ultime constatazioni si basa il catalogo Arty, nel quale sono raccolti oltre 1635 articoli, rivenduti in 34 differenti online store di musei internazionali.
All’interno di questo volume, i prodotti non sono suddivisi per categoria, come avviene comunemente, ma per il movimento artistico dal quale proviene l’immagine utilizzata per il loro styling. In questo modo, si vuole evidenziare la diffusione che ha avuto la pratica di mercificazione e, sopratutto, come l’immagine artistica, a prescindere dalle sue caratteristiche, venga completamente snaturata ed utilizzata in modo indiscriminato, per qualsiasi tipologia di prodotto.
Definito l’attuale atteggiamento personale nei confronti dell’opera d'arte e constatata la diffusione della pratica della mercificazione, è stato sviluppato un iter progettuale con l’obiettivo di raggiungere l’utente e ridare valore all’immagine artistica presente sugli articoli in commercio.
I progetti proposti, dunque, sono stati ideati tutti sulla base di prodotti presenti all’interno di Arty e sono stati suddivisi in tre categorie.
La prima di queste, Papier Collé, riprende la tecnica introdotta dal Cubismo basata sulla sovrapposizione e la composizione di materiali diversi. E’ stata realizzata, quindi, una t-shirt stampata con 5 differenti grafiche, ognuna pensata per essere personalizzata con molteplici spille a tema artistico. In questo modo, viene data la possibilità all’utente di rendere proprio il prodotto in base alle esperienze personali.
La seconda categoria, invece, prende il nome di Cabinet ed è costituita da tre progetti di mobili contenitore. Come i cabinet cinquecenteschi, ognuno è stato dimensionato in base agli oggetti che deve contenere.
Tra questi, il prototipo Monna Lisa si compone di 6 cornici in legno di profondità diverse, di cui 4 contenenti oggetti che riportano una porzione dell’opera di Leonardo da Vinci e 2 con funzione di distanziatori. L’intero progetto, infatti, è stato pensato in funzione del fatto che, posizionando i singoli moduli in successione e ponendo lo sguardo all’interno tramite il foro posto all’estremità, si possa vedere il volto ricomposto.
Infine, per l’ultima categoria di progetto, si propongono degli allestimenti basati sull’utilizzo di un singolo prodotto ripetuto. Sulla falsa riga delle Wunderkammer — camere delle meraviglie — sono stati progettati degli ambienti che, sfruttando la ripetizione di artefatti, tentano di provocare stupore nell’osservatore.
Il primo esempio, Deck Chair, sfrutta le componenti di sedie a sdraio per definire un modulo componibile in legno e tela in grado di definire spazi di dimensioni e caratteristiche variabili. Nel secondo esempio, invece, ripetendo 1704 cuscini in tre ambienti, sono stati definiti tre allestimenti differenti, ognuno in grado di dare una diversa sensazione sfruttando solo pochi cambiamenti nella disposizione degli elementi. | it_IT |