Abitare minimo, collettivo, temporaneo. Le forme dell'abitare tra spazio, tempo, strutture e significato
Author
Cerruto, Alessia
Mirabelli, Francesca
Vassallo, Ilaria
Supervisor
Andriani, CarmelaAssistant supervisor
Moretti, BeatriceDate
2020-10Data available
2021-02-03Abstract
I progetti contenuti all’interno della tesi si relazionano tra loro e sviluppano grazie ad una connessione al tema dell’abitare, che viene analizzato entro alcune delle sue sfaccettature che accomunano e legano anche temi apparentemente lontani. Abitare nel senso proprio del termine vale come continuare ad avere, ma più comunemente, come avere consuetudine in un luogo, abitarvi. L’etimologia del termine sottolinea il rapporto tra individuo e spazio architettonico, abitare è l’essenza stessa dell’esistenza, è il radicamento della vita nella realtà quotidiana. La nostra figura è nello spazio in quanto lo abita. L’uomo, ad un certo punto della sua evoluzione, ha sentito la necessità di selezionare, delimitare e caratterizzare una parte dei luoghi che lo circondano, attribuendo loro dei valori. L’abitare è, in conclusione, uno stato interiore che si spazializza. Si torna ad interrogare il ruolo che gli spazi abitativi assumono nelle trasformazioni della città contemporanea, il modo in cui sono realizzati, la loro rispondenza alle aspettative. Le forme dell’abitare non coincidono più strettamente con determinati profili sociali, sono espressione di condizioni trasversali, di comportamenti particolaristici che si universalizzano. Lettura di tematiche e contesti diametralmente opposti, che svelano caratteristiche comuni di un abitare plurale, stratificato e in continuo mutamento. Sono state selezionate tre architetture “manifesto”, interpretabili come esemplificazioni materiali delle componenti dell’abitare sulle quali la tesi si focalizza.
ABITARE TEMPORANEO
Con la mutevolezza delle esigenze relative ai cambiamenti che le società ospitano, ci troviamo di fronte alla necessità di realizzare architetture sempre più flessibili e legate al concetto di temporalità e spazi mutevoli e modificabili in base alle necessità. La temporaneità di un’architettura si può legare ad aspetti ambientali, economici, sociali, pronta a soddisfare necessità di durata variabile. L’ASILO SANT’ELIA conduce alla mirabile sintesi delle relazioni tra individuo e collettività. La struttura prevalentemente retta da pilastri permette una libera suddivisione degli spazi, ma il concetto di flessibilità e temporaneità viene qui negato dalla volontà di generare un modello standard adatto ad essere replicato. L’opera ha ispirato lo stabilimento balneare di Savona, per il quale la temporaneità diviene però un fattore fondamentale legato principalmente alle stagioni. Il legno agevola questa possibilità sostituendosi al cemento armato.
ABITARE MINIMO
Ciò che è “piccolo” è, per definizione, qualcosa di ridotto, in misura o scala, rispetto ad un modello preso a riferimento. Una determinata cosa può quindi essere definita piccola per le sue dimensioni ma deve in ogni caso mantenere tutte le caratteristiche che la rendono riconoscibile e appartenente alla categoria definita dal tipo originario. La riduzione in questo caso vuole rappresentare la concentrazione, la selezione e la scelta attenta, e quindi l’accentuazione, di quanto necessario a costruire uno spazio abitabile e riconoscibile in quanto tale. Aspetto caratterizzante delle opere di Murcutt riguarda la costruibilità del manufatto, che viene espressa qui come valore inscindibile dall’operazione ideativa-progettuale. La MARIKA ADLERTON HOUSE viene ricondotta all’abitare minimo in quanto scevra di qualsiasi oggetto superfluo, materializzazione dell’essenzialità e di un profondo studio che si focalizza sulla fruibilità e sul rapporto con il paesaggio, mantenendo le caratteristiche minime di una tradizionale abitazione. La Mobile Home analizzata nelle pagine successive si propone di ricercare l’essenzialità descritta e pone un’attenzione particolare nei confronti della possibilità realizzativa dell’opera in ogni suo aspetto.
ABITARE COLLETTIVO
L’architettura si può identificare come la concretizzazione fisica di un modello di società, che ad oggi viene rifiutato in favore della ricerca di uno spazio individuale e di un maggior contatto con la natura. Qualcosa che considera le traiettorie di ciascuno cumulabili a quelle degli altri, non tanto per la determinazione a condividere un’intimità, ma per una condizione che riscontra preoccupazioni, usi, costumi condivisi. L’individuo si rispecchia negli oggetti che costituiscono la struttura portante dell’abitare, per questa ragione ogni caso reclama un’irriducibile singolarità, adattata però a valori spesso universali e comuni. Se l’edificio separa realtà distinte, costituisce anche una soglia, che divide ma al tempo stesso consente l’attraversamento e la vicinanza. La BRICK COUNTRY HOUSE è simbolo di collettività non in quanto legata ad una molteplicità, ma in quanto espressione di quel movimento verso il concetto di condivisione, di apertura, dato dal posizionamento degli elementi. Il tema dell’abitare collettivo si ripropone nel progetto per la Tanzania, per il quale la collettività si lega ad un’organizzazione tradizionale dei nuclei abitativi, radunati in villaggi nei quali la condivisione e il senso di comunità risultano un elemento che contraddistingue le culture locali nei secoli.
STABILIMENTO DEL PROLUNGAMENTO, SAVONA
Il concetto di abitare temporaneo si lega al tema affrontato con il laboratorio di Coastaldesignlab, che prevedeva la riqualificazione dell’area adiacente alla fortezza del Priamar e gli spazi interni alla fortezza stessa situata nella città di Savona. Il laboratorio ha condotto allo sviluppo di diversi progetti puntuali, il cui intento complessivo verteva alla valorizzazione del patrimonio di confine. Questo tema investe aree poste sul confine urbano-portuale e la loro rigenerazione, le strategie elaborate mirano all’inserimento di funzioni legate all’arte e in particolare modo alla cultura e al patrimonio dei luoghi. In questo frangente si inserisce il progetto dello stabilimento balneare, da noi studiato e sviluppato per essere inserito entro una parte di spiaggia che separa la fortezza del Priamar dal mare, adiacente ai giardini del prolungamento, volto a indurre una maggiore frequentazione della zona, sia per turisti che per locali. La struttura è stata pensata interamente in legno, mantenendosi versatile e adatta a cambiamenti legati alle condizioni atmosferiche e alla stagionalità.
THE LANTERN, INTERNATIONAL DESIGN SUMMER SCHOOL UNIVERSITA’ DI PAVIA
L’abitare minimo diviene ad oggi uno strumento per definire nuove modalità di abitare e riattivare spazi incerti, dalla casa mobile alla casa per tutti, dalla casa temporanea alla residenza per l’emergenza. Questo progetto costituisce il lavoro risultante da un Workshop internazionale organizzato dall’Università di Pavia che bene si lega alle argomentazioni trattate nella tesi, affrontato in una fase terminale della stesura. Consentire lo svolgimento minimo delle azioni non significa restituire automaticamente il minimo di qualità ritenuto indispensabile; un’architettura minima deve dunque assicurare la persistenza delle parti fondative dell’intero sistema, capaci di identificare un luogo e permettendo lo svolgimento delle attività ad esso connesse. Problematiche recenti come i cambiamenti climatici e la sostenibilità ambientale stanno mettendo in crisi i modelli urbani. Partendo da questi presupposti, il nostro progetto si propone di soddisfare un’esigenza, la necessità di consolidare il legame tra realtà urbana e natura, la volontà di riqualificare spazi abbandonati o in disuso, ricchi di potenziale, al fine di migliorare la qualità della vita all’interno della città.
L’agricoltura urbana è considerata ad oggi l’agricoltura del futuro, volta alla produzione di alimenti con un consumo minimo di risorse e a km 0, muovendosi sempre di più verso un’agricoltura più controllata, economica e produttiva. THE LANTERN, dunque consiste in un’unità mobile che non impone un consumo di suolo, una struttura flessibile che può essere posizionata all’aperto o in strutture coperte, adatta ad essere spostata anche per eventi temporanei. L’unità è a beneficio sia del singolo privato che della collettività stessa, con la possibilità d’acquisto del prodotto ma anche del consumo in loco. Il progetto dunque si ispira ad attività come orti urbani e green market, che simboleggiano ad oggi la volontà di dialogo e avvicinamento al contesto e a prodotti naturali con la possibilità di offrire alimenti più sani, spesso venduti direttamente dal produttore, senza intermediari. L’unità consente inoltre l’accesso e la selezione del prodotto da parte del consumatore. La struttura portante è composta da sezioni metalliche e circa due terzi dell’unità sono utilizzati per accogliere una serra, mentre lo spazio residuo ospita un’area per il lavaggio e la preparazione delle colture. I tamponamenti si differenziano tra elementi in policarbonato e pannelli di legno, che schermano gli spazi a seconda delle differenti esigenze e troviamo anche una sezione mobile che permette la copertura di spazi aggiuntivi o di porzioni del modulo. Per le falde della serra sono stati ipotizzati dei vetri fotovoltaici che permettono all’unità di risultare indipendente a livello energetico, grazie anche alla presenza di una cisterna per la raccolta dell’acqua. Una caratteristica importante è la trasportabilità del modulo e anche la possibilità di combinazione di più moduli tra loro. E’ stata posta anche una particolare attenzione a tutti gli elementi che compongono la struttura, così che questa possa essere realizzata attraverso un montaggio a secco come richiesto dall’azienda. La serra ospita una coltivazione idroponica, con zero consumo di suolo, e minimo consumo di acqua, energia e pesticidi, con una produttività molto elevata, che consente di coltivare fino a 2000 piante al mese anche in piccoli spazi. Le colture idroponiche necessitano di luci LED artificiali che replicano le condizioni naturali per la crescita delle piante al fine di accelerare la fotosintesi. L’illuminazione assume un valore non solo funzionale ma anche estetico, attirando l’attenzione nelle ore notturne. L’allegato fotografico contiene il modello di studio che ci ha permesso di analizzare in dettaglio ogni singolo elemento, la composizione della struttura, la fruibilità e l’ombreggiamento.
AFRICAN HOUSE DESIGN COMPETITION, TANZANIA
Il progetto Kiota, che in lingua swaili significa nido, pone come obbiettivo il concetto di unione e condivisione, per il quale abitare rappresenta una delle relazioni fondamentali che l’uomo ha con il mondo e con gli altri uomini. Riferendoci al progetto si parlerà dunque non di una casa per l’uomo ma di una casa per una famiglia.
Il progetto si colloca a Getamock, all’interno del distretto di Karatu, nella Tanzania del nord. Il villaggio è costituito da abitazioni sparse sul territorio che nonostante questa lontananza si caratterizzano per una stretta collaborazione tra gli abitanti. Le città più sviluppate si trovano a più di due ore di distanza in auto dall’area in esame, rimanendo difficili da raggiungere. Questi territori sono abitati dal popolo degli Iraqw, che basano il loro sostentamento sull’agricoltura e l’allevamento e il numero di capi di bestiame determina la ricchezza di ciascuna famiglia. Essi vivono, solitamente in nuclei familiari numerosi e la conformazione della casa varia in base al contesto geografico. Le principali tipologie abitative sono: case sotterranee, scavate solitamente sul fianco di un pendio; capanne tonde, ovvero semplici capanne costruite con legni intrecciati e fango e con il tetto di paglia; capanne in stile Swahili, queste case sono le più recenti e moderne e hanno una base rettangolare, con diverse stanze e il tetto inclinato. Lo spazio all’interno delle case viene rigorosamente suddiviso in base al sesso degli occupanti, una stanza ad esempio è vietata agli uomini, a cui è fatto divieto di toccare gli strumenti utilizzati per cucinare. Tale suddivisione per genere si trova anche relazionata all’attività lavorativa, per la quale uomini e donne hanno compiti diversi, anche in base all’età. Gli uomini lavorano nei campi mentre le donne si occupano del raccolto o dell’irrigazione. Il progetto in esame è stato pensato per la famiglia Joreick formata attualmente da 19 componenti, tra i quali 14 vivono nella residenza attuale. Lo studio dei componenti della famiglia, dei loro interessi e delle loro abitudini, si è rivelato fondamentale per concepire una disposizione degli ambienti che risultasse funzionale assecondando tutte le necessità. Le loro attività quotidiane sono fortemente influenzate dal clima che si identifica per la suddivisione in 2 stagioni: la stagione secca (maggio-ottobre) e la stagione delle piogge (novembre-aprile). In relazione a queste caratteristiche dedotte nella prima fase di analisi sono state ipotizzate delle giornate tipo dei componenti della famiglia, racchiuse in grafici che esaltano queste informazioni in quanto fondamentali per il concepimento delle esigenze e degli usi e costumi locali. Da queste informazioni sono stati dedotti relativi flussi giornalieri, tracciati con il fine di sottolineare attraverso i percorsi gli spazi maggiormente utilizzati, fulcro della vita quotidiana della famiglia. Le analisi iniziali si compongono anche di due schemi: uno dei vincoli e uno delle invarianti. I vincoli rappresentati sono quelli forniti dal bando di concorso e riguardano il mantenimento di tre alberi e la permanenza di una delle abitazioni durante le fasi di realizzazione del progetto; le invarianti comprendono invece ciò che non verrà modificato, si tratta della vegetazione che subirà un incremento degli alberi da fusto. L’impossibilità di effettuare un sopralluogo e la mancanza di materiale che consentisse una conoscenza adeguata dell’area di progetto ci ha portato a riprodurre un disegno che restituisce le caratteristiche dell’ambiente entro il quale il progetto si insinua. Viene messa in luce la presenza di un ambiente quasi totalmente rurale, e l’attenzione si focalizza dunque sugli elementi naturali. In seguito alle analisi descritte abbiamo iniziato sviluppare una prima disposizione degli ambienti richiesti. Il progetto si articola intorno ad un vuoto, che costituisce il fulcro delle azioni quotidiane e dunque dell’intero progetto. Successivamente con il tracciamento dei setti si sono andati a delineare i vari ambienti che compongono l’abitazione, i differenti spessori degli elementi di partizione simboleggiano diverse funzioni del setto, che talvolta diviene muro contenitore. Il disegno della copertura grazie a specifiche inclinazioni permette il raccoglimento delle acque e al tempo stesso un’adeguata schermatura dal caldo sole africano durante l’arco della giornata. Il territorio prevalentemente incontaminato e la necessità di reperire il materiale da costruzione vicino all’area di progetto, ci ha spinto verso l’utilizzo di materiali locali e naturali presenti nella zona. Il vuoto centrale accoglie la cucina all’aperto, fulcro delle attività quotidiane, che si rivela uno degli ambienti più importanti per la famiglia. Gli spazi che si sviluppano nel suo intorno risultano come raccolti e connessi tra loro grazie alla presenza della copertura circolare e della pavimentazione. Quest’ultima si compone di differenti dislivelli e materiali, andando a costituire un elemento di condivisione o privatizzazione degli spazi, si ispira alle opere dell’architetto paesaggista Roberto Burlé Marx. A caratterizzare la pavimentazione sono anche le piastrelle di terra cotta, composte da terra locale impastata ed essiccata, decorate con un simbolo dell’alfabeto swaili che rappresenta la bontà. Data la necessità di presentare un progetto realmente edificabile per costi e materiali, sono state individuate nello specifico anche le fasi di realizzazione dell’opera. La terra risultante dagli scavi di fondazione è stata impiegata per la realizzazione delle sedute che si sollevano dal disegno della pavimentazione, nonché per il riempimento di alcuni setti. Particolare attenzione è volta alla stratificazione della copertura, composta da canne di bamboo poste perpendicolarmente tra loro, e alla realizzazione dei pannelli pivottanti, i quali costituiscono un filtro tra il fulcro e l’ambiente circostante. I pannelli di legno sono traforati secondo un disegno che ripropone il simbolo swaili dell’eccellenza e si ispirano alla maqrebiya araba, data la ricerca di un sistema di ventilazione naturale. La sezione pone in evidenza la contropendenza della copertura, che consente la raccolta delle acque piovane entro un bacino sotterraneo posto in loco. Gli ambienti risultano privatizzati e al tempo stesso connessi al paesaggio circostante, una schermatura ulteriore ai pannelli è permessa grazie alla presenza di spessi tendaggi, che consentono un doppio filtro impiegabile secondo le necessità. La consapevolezza delle profonde differenze che caratterizzano questa cultura apprese attraverso la fase di analisi preliminare, ha consentito di evitare la riproposizione di modelli, materiali e preconcetti relativi la cultura occidentale, che si dimostra lontana rispetto a quella in cui ci siamo dovute calare. Questo adattamento passa attraverso una ricognizione dei dati, una conoscenza che si pone come metodo di approccio al progetto; che in questo caso non riguarda solo usi e costumi di un popolo, ma si confronta con persone che sviluppano abitudini reali ed uno stile di vita preciso.
Type
ThesisCollections
- Architettura [1197]