Il suicidio nel reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi

Abstract

Con il presente elaborato, ci si prefigge di svolgere considerazioni sul tema del suicidio quale conseguenza non voluta dei maltrattamenti perpetrati contro familiari e conviventi; ipotesi che stando all’attuale orientamento maggioritario, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, è considerata alla stregua delle ipotesi di morte materialmente causate dall’autore di tali atti vessatori, quando vi sia prova che l’evento infausto, derivato o auto-prodotto, non sia altro che l’inevitabile epilogo di una sofferenza, orchestrata dall’autore del reato base, dalla quale la vittima non poteva sottrarsi. Siffatte circostanze hanno così condotto e conducono a tutt’oggi a formulare, in capo all’autore dei maltrattamenti, un’imputazione per il reato di cui all’art. 572, comma 3 c.p. Tema quest’ultimo che fa convergere l’attenzione, riaccendendola, sulla già di per sé scottante categoria della causalità psichica che, se da un lato è al centro di dibattiti circa la sua credibilità razionale e potenziale conflittualità con il fondamentale principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio; dall’altro, si configura come l’unica via mediante la quale si giunge ad attribuire giustizia e dignità a morti la cui forma è mascherata da suicidio, ma la cui eziologia è da ricondurre ad un soggetto diverso dalla vittima stessa, colui che “nullifica” l’istinto alla vita tramite i maltrattamenti, al punto da indurla ad abbracciare la morte come unica via speranza e salvezza, rispetto ad una sopravvivenza divenuta di un peso insormontabile.

With the present paper, we aim to carry out considerations on the topic of suicide as an unintended consequence of mistreatment perpetrated against family members and cohabitants; a hypothesis that, according to the current majority orientation, both in doctrine and jurisprudence, is considered in the same way as the hypotheses of death materially caused by the perpetrator of such vexatious acts, when there is evidence that the inauspicious event, derived or self-produced, is nothing more than the inevitable epilogue of a suffering, orchestrated by the basic offender, from which the victim could not escape. Such circumstances have thus led and lead to this day to formulate, against the perpetrator of the mistreatment, an indictment for the crime as provided for in Article 572, paragraph 3 of the Criminal Code. The latter theme that converges attention, rekindling it, on the already hot category of psychic causation which, if on the one hand is at the center of debates about its rational credibility and potential conflict with the fundamental principle of beyond a reasonable doubt; on the other hand, is configured as the only way by which justice and dignity can be attributed to deaths whose form is disguised as suicide, but whose etiology is to be traced to a subject other than the victim herself, the one who “nullifies” the instinct to life through mistreatment, to the point of inducing her to embrace death as the only way hope and salvation, as opposed to a survival that has become an insurmountable burden.